Storia del Palazzo di Giustizia

Le vicende della fabbrica

Il 24 settembre 1578 papa Gregorio XIII indirizzò all'arcivescovo di Milano Carlo Borromeo una bolla - conservata nell'archivio di Stato in copia notarile - con la quale gli dava licenza di fondare il monastero delle Cappuccine della prima regola di Santa Chiara e gli offriva il terreno dove edificarlo. Il cardinale Francesco Alciati, infatti, sentito il programma di Carlo Borromeo per la promozione di case religiose, soprattutto femminili, aveva spontaneamente fatto donazione il 18 agosto dello stesso anno "de sediminibus duobus contiguis cum viridariis annexis ac aorum iuribus et sitis extra porta Tonsam, in parochia sancti Stephani in brolio foris Mediolani", a patto che il terreno fosse usato soltanto per la costruzione del suddetto monastero. L'atto di fondazione del convento, dunque, grazie all'autorità che S. Carlo godeva anche a Roma, era arrivato con sollecitudine, accompagnato da un importante dono, quello del terreno sul quale costruire. Quanto alla chiesa prevista nel complesso dell'edificio, nello stesso 26 aprile 1579, giorno già citato di istituzione del monastero, l'arcivescovo Carlo Borromeo ne poneva la prima pietra. Essa fu poi consacrata il 31 agosto 1586 dal suo successore Gaspare Visconti.

La chiesa, non molto grande - secondo il Torre - si presentava con due cappelle ed era adorna di preziose pale d'altare dovute alla mano di Ambrogio Figino - La Vergine col Bambino e le sante Prassede e Chiara - e di Giulio Cesare Procaccini - il Signore legato alla colonna -, oltre che offrire un raro Crocifisso in bassorilievo, oggetto di grande venerazione da parte dei cittadini. In essa si conservavano, ancora nella seconda metà del Settecento, molte reliquie, come le ossa delle sante vergini Giustina, Prassede, Cecilia e Caterina e dei santi Maurizio, Omobono, Massimo e Pantaleone.

Una ricca documentazione, conservata negli archivi di Stato e Storico Civico, ci permette di seguire, attraverso gli atti a noi pervenuti, alcune vicende relative alla fabbrica del monastero nei secoli XVI-XVIII.

Nel 1580 maggio 28, Carlo Borromeo emanava un documento a stampa con la nomina di un gruppo di nobili milanesi, da lui stesso scelti, incaricati di seguire "temporalia regimen, gubernium et administrationem" della fabbrica del convento, eseguita secondo le regole stabilire dal Concilio di Trento e suggerite dallo stesso S. Carlo. Ai primi nove nomi - Francesco Lecamo, canonico di S. Lazzaro; Ludovico Moneta; Agostino Cusani; Carlo Archinti; Alessandro Sclafenati: Gio. Pietro Barbò; Gio. Battista Archinti; Teodoro Terzaghi; Muzio Chiocca - vennero aggiunti, il 2 gennaio 1582, Gio. Angelo Trivulzio e Marco Antonio Trivulzio; il 23 gennaio 1584 Gio. Battista Visconti; il 14 marzo 1585 il conte Gio. Battista Borromeo e Serenio Confalonieri. Risulta, però, che il completamento dell'edificio andava per le lunghe, tanto che l'8 agosto 1592 papa Clemente VIII interveniva con un breve a prorogare di un biennio il ricavato dell'eredità che cittadini ed enti avevano devoluto in vita o per disposizione testamentaria per la costruzione del monastero, ricavato che altrimenti doveva essere diversamente usato, in base alle decisioni dell'arcivescovo. Qualche anno prima, il 2 agosto 1589, era stata la volta di Filippo II re di Spagna, rappresentato dal suo governatore Carlo d'Aragona, dura di Terranova. Egli concedeva alle monache di S. Prassede l'uso di "una onca de aqua del fosso dessa ciudad", a patto che la suddetta acqua rimanesse sotto la giurisdizione di Sua Maestà. Ma bisogna dedurre che i lavori di costruzione andassero ancora lentamente e che le monache continuassero a vivere nella parte provvisoria, se in una lettera dell'8 luglio 1615 - conservata all'Archivio di Stato - un mittente non identificato inviò una lunga relazione manoscritta sulla distribuzione delle sue superfici, presumibilmente, all'arcivescovo Federico Borromeo, che gli aveva insistentemente chiesto un piano di ordinamento per il monastero di S. Prassede. […]

Le vicende della fabbrica continuano e, al riguardo, un documento del 12 aprile 1783, conservato nell'Archivio di Stato, firmato dal notaio Carlo Antonio Silvola, informa che, essendo state soppresse le monache di S. Prassede, il complesso di loro proprietà, con il consenso dell'arcivescovo, venne venduto dall'Economato generale della Repubblica Cisalpina alle monache di S. Radegonda, con l'obbligo di andarvi ad abitare, al prezzo di L. 103.500. […]

Corte di Appello