Il palazzo di giustizia di piazza Beccaria
Il Consiglio della Cameretta - una specie dell'attuale Consiglio Comunale - radunatosi il 20 luglio 1569, esaminata la
proposta dei Protettori e preso atto che l'arcivescovo Carlo Borromeo aveva contribuito con trecento scudi d'oro in
contanti e il governatore Albuquerque con seimila scudi, deliberarono in primo luogo di espropriare il terreno richiesto e
poi di versare come contributo la somma di mille scudi. Nel 1570 ebbe così inizio la fabbrica del palazzo del Capitano di
Giustizia, sotto la sorveglianza di una commissione appositamente nominata per seguirne l'andamento. I lavori andarono a
rilento e anche se nel 1593 si erano già spese 260 mila lire imperiali, la costruzione venne terminata soltanto nel 1605.
A questo momento si provvide ad ampliare la via verso il palazzo di Corte, "affinché facile e breve fosse il cammino dalla
giustizia alla clemenza", dal giudice cioè al governatore, e la si intitolò dapprima "Strada Nuova" e poi la si dedicò al
giureconsulto Alciato; essa scomparve dopo i bombardamenti del 1943. Il palazzo occupava lo stesso spazio attuale, ma
aveva un robusto muro che lo circondava nella parte posteriore, per impedire l'evasione dei reclusi, muro che, però, nel
1784 non era ancora del tutto terminato. Sul lato meridionale di esso poggiava una piccola e bassa casa, che ospitava il
boia e, accanto, stazionava il carro della "berlina". I carcerati nel cuore della città procurarono non pochi disagi ai
cittadini, se già nel periodo napoleonico troviamo la documentazione di reclami degli abitanti dei dintorni "pel disturbo
dato dai carcerati di notte col parlarsi forte da una carcere all'altra". Fu proprio in questo edificio - nel quale si
amministrava la giustizia penale con un procedimento inquisitoriale segreto, che prevedeva anche la tortura - che nel 1824
furono imprigionati e udirono la sentenza di condanna Federico Confalonieri ed altri compatrioti "rei d'aver cospirato per
l'italica indipendenza".
Quanto all'architetto che eseguì i lavori dell'edificio dalle linee austere, dopo alcune attribuzioni, risultate errate,
al Seregni e al Bassi, secondo l'autorevole parere del Moriggia (1602) e del Bianconi (sec. XVIII), ci si fermò sulla
figura di Pietro Antonio Barca, ingegnere camerale e militare, bene accetto ai governatori spagnoli; anche se non si può
escludere l'intervento di altri, soprattutto nelle sua prima fase.
La sede della Giustizia era conosciuta dal popolo come "l'alberg di do compann", giocando sul fatto che l'edificio era
veramente dotato di due campane, ma che in esso se ne sentivano anche altre due, quella dell'accusa e quella della difesa.